mercoledì 26 aprile 2017
Dialogo e confronto strumenti di sviluppo e coesione
di Marcello BorghettiCesena dove va, quale sviluppo, quale redistribuzione, quale coesione? Potremmo, anzi dovremmo, riproporre lo stesso quesito sulla Romagna. È un interrogativo che mi pongo da tempo, ma non trovo risposte nel dibattito cittadino. Dunque è una domanda sbagliata o mi sfugge l’essenza del dibattito? Penso semplicemente non si discuta di prospettive da troppo tempo. Cesena non è certo l’epicentro della carenza di confronto e dell’uomo solo al comando. Ma il territorio di Cesena ci ha messo del proprio, spingendo nell’acceleratore di un confronto di facciata, sofferto e subito. Il risultato? Una Città spaccata, un territorio diviso, il dialogo anestetizzato, momenti di partecipazione collettiva scarsamente partecipati e con un clima di forte diffidenza. Tutto bene a detta di alcuni “fedelissimi” e tutto male a detta di altri considerati “nemici”. In questo scontro muscolare il mondo delle associazioni ha poca voglia di uscire allo scoperto. Poca voglia di unire le forze in un percorso comune di sviluppo e di redistribuzione. Scelgo di essere ottimista, sono certo che non manchino le idee, serve rimettere in moto lavoglia di confrontarsi, di partecipazione e per questo servono interpreti del confronto, consapevoli che le diversità, soprattutto in politica, non sono il nemico ma il perno della democrazia e dell’elaborazione strategica. Il metodo è sostanza e non una perdita di tempo. È fondamentalepartire dal metodo per mirare gli obiettivi di territorio che interpretino rapidamente il cambiamento, per infilare la strada dello sviluppo. Improbabile infatti pensare che siamo nella crisi economica iniziata nel 2008, assai più probabile affermare che l’economia e la società sono già da tempo cambiate. Ecco appunto,il mondo è cambiato e fatte salve (fortunatamente) alcune nicchie che hanno saputo interpretare o adattarsi al cambiamento, la restante parte è ancora in affanno. Qualche importante azienda cesenate che è fortemente radicata nel territorio ha mitigato gli effetti della crisi, ciò anche grazie ad una generazione di imprenditori locali, ma fino a quando reggerà? Tanti imprenditori hanno purtroppo chiuso le saracinesche, tanti lavoratori licenziati, tanti disoccupati, tanti precari, tanti giovani e donne senza prospettive; troppi poveri. L’unica leva di sviluppo si è attuata attorno ascelte aggressive sui diritti, in una deriva tutta volta alla precarizzazione (i voucher sono l’emblema). Si è pensato di garantire occupazione semplicemente attraverso sgravi, una scelta che in assenza di una politica industriale e di sistema risulta (a detta degli stessi imprenditori) essere inefficace. I dati dello zero virgola qualcosa, a volte quando negativi, ci tuffano nella dura realtà, quando positivi ci spingono a dire che la direzione è giusta; solo che di questo passo la direzione giusta non ci aiuterà a raggiungere l’obiettivo di una società riequilibrata. Sui dati siamo purtroppo costretti a fare i conti con politiche economiche europee di austerità, che si dimostrano sbagliate e che costituiscono un freno alla crescita del nostro Paese. Non cresciamo, e non diminuisce il debito pubblico, come dice il segretario Uil Barbagallo: bisogna invertire questa tendenza. Non sono un economista e certo non mi interessa neppure lontanamente apparirlo, pongo un semplice quesito: in ragione del risanamento del debito pubblico, fino a che punto vogliamo disgregare lasocietà e rompere la coesione? Davvero si pensa con questa strategia di fare buona economia e poi di contrastare il dilagante antieuropeismo e la crescente rabbia sociale? Io penso che un bravo economista riformista dovrebbe sciogliere questo quesito, trovando una strada che tenga assieme le ragioni della tecnica, dell’efficienza e della finanza con le fondamentali ragioni di una società composta da persone e non da robot. Per questo quando si parla di economia del futuro e di industria 4.0 e tanto più in un territorio che ha l’ambizione di essere la “Valle del Benessere”, sarebbe importante partire dai dubbi o meglio dalle certezze sulle ricadute negative in termini occupazionali, per affrontare con più pragmatismo e rapidità, le eventuali potenzialità connesse a questo cambiamento. Occorre individuare le opportunità, calarle e adattarle alterritorio. Immagino si debba ragionare di riassetto istituzionale, infrastrutture materiali e immateriali, di fiscalità, di banche, di sburocratizzazione, di scuola, università e sistema duale, di ambiente e risparmio energetico. Immagino lo si debba fare articolando le necessità per industria, commercio, servizi pubblici e privati, artigianato, turismo, agricoltura e sempre, sempre, e assolutamente, il tutto funzionale a occupazione, redistribuzione e coesione. Immagino che per fare questo, occorra sviluppare le opportunità di un forte coordinamento di area vasta, assumendo una veste più collaborativa e meno conflittuale. Su temi come collegamenti su strada e su rotaia, aeroporto, porto, fiere e gestone dei servizi pubblici, trovo davvero difficile comprendere le ragioni dei contrasti in ambito romagnolo, consapevoli che siamo più forti se alleati. Per queste ragioni è evidente che il metodo è l’aspetto più carente nel territorio, in fondo non sono tematiche nuove. Da qui bisogna ripartire, convinto che se non si crea ricchezza, si distribuisce povertà. Nello stesso tempo affermo in modo perentorio le ragioni dell’equità, della giustizia sociale e della giustizia fiscale, senza questo nesso sviluppo - giustizia, non ci sarà la necessaria condivisione e coesione per un percorso collettivo di crescita e per la costruzione di una società equilibrata e giusta. Dunque in questa situazione occorre essere scomodi non certo come obiettivo, piuttosto come strumento certo pungente e per taluni fastidioso, per auspicare vera partecipazione, tolleranza, e crescita di un idea collettiva disviluppo, legalità e coesione